COVID 19, EMERGENZA SPAVENTOSA. EPPURE MAI UN GIORNO SENZA DONAZIONI
Il sì di operatori e famiglie. E quei tamponi donati dagli ospedali. Diario di una grande solidarietà in piena emergenza Covid
Il giorno e l’ora delle mail da Roma, le telefonate con gli infermieri dentro gli ospedali, le corse per riuscire a farcela. Di quei tre mesi Ilaria Zorzi (foto in alto) ha tutto registrato nella mente. “La notizia in diretta del primo caso di covid 19 ce l’hanno data i colleghi del Coordinamento ospedaliero per i Trapianti di Schiavonia: qui sta succedendo qualcosa di grosso, ci hanno detto quel 21 febbraio mentre il loro ospedale veniva chiuso” ricorda. “Quel giorno il nostro direttore stava risalendo in treno da Napoli. Ricordo le sue parole al telefono: sarà solo l’inizio. E così è stato”. Quello che la Responsabile della Medicina delle Donazioni di Fondazione Banca degli Occhi non si sarebbe mai immaginata, all’inizio dell’incredibile e drammatica vicenda legata al Covid 19, è che non sarebbe mai trascorso un giorno, durante l’intera emergenza, senza che venisse realizzata almeno una donazione di cornee: “E’ stato spaventoso da un lato, incredibilmente toccante dall’altro vedere come in tanti si siano fatti in quattro per darci la possibilità di garantire i tessuti per trapianto. Sarà difficile dimenticarlo”.
GLI OSPEDALI: “QUI NON SI FERMA NESSUNO”.
Andiamo con ordine. Il 21 febbraio chiude l’Ospedale di Schiavonia e la Medicina delle Donazioni di Fondazione è in contatto con gli operatori all’interno: lì le procedure di prelievo vengono immediatamente bloccate. Tre giorni dopo, lunedì 24 febbraio, arriva la prima circolare del Centro Nazionale Trapianti: “Quella prima comunicazione ci imponeva di effettuare i tamponi su tutti i donatori delle regioni colpite, tra cui il Veneto. Ma noi i tamponi non li avevamo e ci siamo messi a cercarli. Beh, non siamo rimasti senza neppure quel giorno: ricordo che i colleghi di Piove di Sacco e Treviso sono riusciti a mettere a disposizione quelli che servivano per la giornata. E’ stato un piccolo gesto, ma per noi ha significato tantissimo. E’ stato come dirci: qui non si ferma nessuno”. La prima settimana passa così, con i fornitori di presidi medici presi d’assalto e le singole strutture, i reparti di ospedale, persino i colleghi ricercatori di altri centri che offrono il loro aiuto in una gara di solidarietà: “In quei giorni nessuna donazione è stata bloccata. Gli interventi di trapianto nelle prime settimane restavano programmati e noi dovevamo rispondere, abbiamo lavorato per far sopravvivere i trapianti” continua la dottoressa Zorzi. “Il 3 marzo è arrivata la seconda circolare nazionale che allargava l’obbligatorietà del tampone per i donatori di tutta Italia, grazie all’aiuto di tante singole persone, anche lì ce l’abbiamo fatta”.
IL SI’ DAL LABORATORIO DI CRISANTI.
Con un virus sconosciuto alle porte, gli ospedali stravolti negli accessi e nelle procedure e i primi DPCM, la macchina ha continuato a funzionare. “I primi a dirci che avrebbero continuato a garantire il loro servizio sono stati gli operatori del Servizio di Microbiologia di Padova guidati dal prof. Andrea Crisanti. Anche in quelle settimane di enorme pressione hanno continuato a rispondere alle nostre richieste di test sierologici e biomolecolari per ogni donazione, test che quotidianamente richiediamo loro per escludere fattori di rischio per il ricevente” continua Ilaria Zorzi.
IL SI’ DI OPERATORI E FAMIGLIE.
Come se il dono fosse ancora una certezza nell’evolversi pericoloso della pandemia, come se fosse un gesto irrinunciabile nella grande tensione scatenata dall’emergenza, il sì alla donazione non si è mai fermato. Gli operatori del Sistema Trapianti del Veneto, che negli ospedali si occupano della proposta di donazione alle famiglie, hanno continuato sebbene dislocati ad altre mansioni a ritagliarsi il tempo per curare il dono di organi e tessuti: “Avevamo la netta sensazione che molti volessero fare di più”. Ma il punto è un altro, spiega la dottoressa Zorzi: “Il fatto è che anche le famiglie non hanno smesso di donare. Nonostante l’allontanamento dai parenti, la difficoltà nel raggiungere i reparti, il distacco e spesso l’impossibilità di stare accanto ai propri cari negli ultimi istanti, non ci siamo mai sentiti rispondere di no alla donazione per paura del covid. Questa decisione delle famiglie ci ha fatto sentire fortissima la responsabilità – continua Ilaria Zorzi – bisognava far di tutto per salvaguardare quel dono”.
I MEDICI E I PRELIEVI NEGLI OSPEDALI.
Un capitolo a parte lo meritano i 14 medici incaricati al prelievo che collaborano con Fondazione Banca degli Occhi. “Se abbiamo chiamato eroi gli operatori chiamati ad assistere i pazienti positivi negli ospedali, beh questo titolo spetta anche ai medici che si sono trovati a contatto con i pazienti non più in vita. Il rischio personale era lo stesso” conferma la dottoressa, “non si sono mai tirati indietro. Io li aggiornavo continuamente sull’evoluzione della situazione, partivano al mattino verso un reparto senza sapere che situazione avrebbero trovato una volta arrivati. Mai mi sono sentita rispondere: non me la sento”. Confermato il processo di donazione, il problema si è spostato poi in fase di selezione del donatore. "Non possiamo permetterci alcun rischio di trasmissione di patologie attraverso i nostri tessuti e ci siamo dovuti confrontare con una malattia di cui non si sapeva nulla. La nostra fase 2 – spiega Ilaria Zorzi – è stata costituita dal restringimento dei criteri di selezione, questo ci ha permesso di essere più certi e sereni nell’invio di tessuti destinati ai riceventi”. E poi lo stravolgimento delle procedure nella sede del Padiglione Rama, l’alternarsi di persone all’interno degli uffici, ridotti al minimo durante il lockdown: “Abbiamo lavorato con elasticità, imparando ad affidarci gli uni agli altri - spiega – paradossalmente, l’essere resistiti a questo uragano ci ha regalato oggi una serenità maggiore”.