LA STORIA. Barbara, campionessa di Pallavolo, e la sua vita ritrovata grazie al dono della mamma
di Barbara Perpenti
Non lo faccio per mettermi in vetrina, ma per essere voce per chi non ha voce.
Sono Barbara e nel 2015 ricevetti un bellissimo dono: il rene di mia madre che per ben due volte mi donò la vita!
La mia malattia si manifestò nel corso del 2014 come un fulmine a ciel sereno. La sentenza del nefrologo Dott. Stefano Chiaramonte (all’epoca responsabile del Centro Trapianti di Vicenza) fu impietosa: “I tuoi reni non funzionano più, la dialisi è l’unico modo che hai per continuare a vivere”. Non mi va di raccontare o esprimere cosa si provi durante le sedute dialitiche e non spetta a me farlo. Racconto di me per essere di stimolo per chi sta soffrendo, per dare speranza a chi è in attesa d’organo, per dare coraggio a chi può donare e per ultimo, ma non ultimo, per rendere grazie a tutti i donatori.
Fui ricoverata a dicembre del 2014 con sintomi di mal di testa e vomito. Nella mattinata del 31 dicembre 2014, mi fu posizionato un catetere venoso centrale (dispositivo medico utilizzato nell’emodialisi) e nel pomeriggio arrivò la mia prima seduta di dialisi. Da persona attiva e sportiva, mi ritrovai tre pomeriggi alla settimana in ospedale per la dialisi che, tra una cosa e l’altra, durava quattro ore. La mia vita era finita. Il mondo mi crollò addosso e più nulla aveva un senso. Chiesi quindi al nefrologo se ci fosse un rimedio alla dialisi e, l’unica via d’uscita da lui proposta, fu il trapianto.
Sin da subito entrambi i genitori si offrirono volontari a donare il proprio rene e fu proprio il Dott. Stefano Chiaramonte a scegliere quale donatrice mia madre. Così, il 28 aprile 2015 ricevetti il grande dono.
Otto mesi dopo il trapianto, la Presidente provinciale di AIDO Vicenza, Paola Beggio, mi invitò a vedere una partita di volley di una squadra di trapiantati e dializzati.
Declinai l’invito dicendo a Paola che io non sarei andata a vedere una partita senza poter giocare. E… detto fatto! Nel giro di qualche giorno ricevetti la telefonata della responsabile della Nazionale Italiana di Trapiantati e Dializzati di ANED Onlus ed il mese successivo mi ritrovai a Trieste, a giocare la mia prima partita con loro. Pallavolista da anni, inizialmente nel volley femminile, poi nell’amatoriale misto. Lasciai la pallavolo quando mi ammalai. Il fatto di poter tornare a giocare a pallavolo, per me era un’ulteriore vittoria.
Mi piace sempre riportare una bellissima frase di un mio compagno di squadra: “Quando scendiamo sul parquet non siamo solo sei pallavolisti, ma dodici persone: sei atleti e sei donatori”.
Con la nazionale partecipai a due edizioni dei World Transplant Games. Nel 2017 a Malaga – in Spagna - dove salimmo sul podio con la medaglia di bronzo. E, nel 2019 a Newcastle – in Inghilterra – dove vincemmo la medaglia d’oro.
La cosa che mi colpì di più ai giochi mondiali è stata vedere atleti arrivare primi, salire sul podio e rifiutare la medaglia dicendo “io la mia medaglia d’oro l’ho già vinta: ho vinto il trapianto, ho vinto la vita!”.
Spesso mi viene chiesto cosa si provi ad essere campioni del mondo. Ma quella medaglia non ha per me un significato sportivo, per me rappresenta la vita che vince sulla malattia. La mattina successiva la vittoria, infatti, mi ritrovai ad osservare quella medaglia in tutte le tue sfaccettature. In quel momento mi ritrovai a pensare, ad una ad una, tutte le persone che conobbi nella malattia, tante delle quali non ce l’hanno fatta. Con il pensiero dedicai quindi quella vittoria a tutte le persone che ho conosciuto e che non ci sono più! Persone che hanno camminato al mio fianco e che mi hanno fatto tirar fuori tutta la mia grinta.
Avrei potuto fare a meno di raccontare di me e sintetizzare il tutto con una semplice frase ma di grande significato: “Io sono qui perché il trapianto è vita!”.