AUGURI SPECIALI, NON POTENDO PARLAR SEMPRE DI CORONAVIRUS...
di...
Umberto Curi, filosofo.
Diego Ponzin, oculista.
Non potendo parlar sempre di coronavirus…
…si rischia di essere banali, alla fine di un anno inverosimile. Ma tant’è. E pensare che, prima dello slogan andrà tutto bene, avevamo guardato al 2020 con ottimismo, se non altro perché in oculistica venti ventesimi (secondo gli americani) equivale al nostro dieci decimi, la vista perfetta. Quale potrebbe essere un augurio migliore?
Invece è andata come è andata, anzi, come sta ancora andando e noi, che non ripeteremo l’errore della scaramanzia, e rimaniamo ostinatamente ottimisti, vogliamo chiudere l’anno dedicando una riflessione al personale sanitario e a tutti i cittadini che hanno praticato in qualche modo la medicina delle donazioni, che implica un concetto importate: la cura.
Il termine italiano cura deriva da quello latino, apparentemente identico, cura. Ma non ci si lasci ingannare. Mentre in italiano il termine cura descrive una molteplicità di trattamenti esercitati su una persona malata, quello latino vuol dire principalmente preoccupazione, sollecitudine, premura. Questa differenza è ancora più evidente se ci riferiamo ai verbi che si formano a partire dai rispettivi sostantivi. Se in italiano curare è un verbo transitivo, nel senso che indica un complesso di pratiche eseguite sul paziente – la visita medica, gli esami di laboratorio, la somministrazione di farmaci, ecc – in latino il verbo curare vuol dire stare in pensiero per qualcuno o per qualcosa.
Nell’inglese moderno ritroviamo entrambi i significati – latino e italiano – del verbo curare. Si distingue I care, che vuol dire mi sta a cuore, mi interessa, da I cure, che vuol dire curo in senso transitivo.
Queste osservazioni possono sembrare curiosità linguistiche, prive di implicazioni importanti, ma non è così. I mutamenti intervenuti dal punto di vista linguistico sono un indizio di cambiamenti rilevanti nel rapporto medico-paziente. Da tempo la cura non indica l’atteggiamento o lo stato d’animo di un medico che stia in pensiero per un paziente, ma si identifica con un trattamento impersonale, nel quale il medico evita il coinvolgimento emotivo o psicologico.
Rispetto a questa tendenza, la medicina delle donazioni rappresenta una netta alternativa. Il personale sanitario si preoccupa delle persone che partecipano al percorso della donazione, e si può motivatamente sostenere che la medicina delle donazioni offre un esempio illuminante della possibilità di tenere insieme i due significati della cura, facendo in modo che to care e to cure coincidano, e che la pratica medica sia accompagnata dall’attenzione verso la persona.
E quindi, alla fine di un anno inverosimile e faticoso, in cui socialità e cura sono state messe a dura prova, vogliamo concludere con un grazie a coloro che con preoccupazione, sollecitudine, premura, hanno praticato la medicina delle donazioni.
Con l’augurio che il 2021, a settecento anni dalla morte di Dante, sia l’anno in cui, insieme, potremo dire E quindi uscimmo a riveder le stelle.