«DISCREZIONE, TRASPARENZA, RITORNO AL TERRITORIO: COSI' LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE INVESTONO NEL SOCIALE»
Imprese e sociale: mondi separati o possibili alleati? Quanto investire nel sociale o nella ricerca conviene davvero? Meglio girare la domanda a chi da 25 anni si occupa di imprese, lavoro e territorio. Roberto Crosta dal 2007 è stato Segretario Generale della Camera di Commercio di Venezia, divenuta poi Camera di Commercio Venezia Rovigo Delta Lagunare, è già Segretario di Unioncamere Veneto e quest’anno è passato alla guida dell’ente camerale padovano.
Roberto Crosta, tra tutti gli investimenti possibili, quanto è diffuso tra le aziende del nostro territorio l’impegno per il sociale?
Non è diffusissimo ma il dato è in costante miglioramento, anche se non c’è ancora una consapevolezza piena di tutti gli aspetti di agevolazione che comporta, non solo fiscali ma di benessere della collettività.
La “Responsabilità sociale di impresa” può riguardare solo i grandi marchi e i grandi fatturati?
Non è così. Certo esiste un’economia di scala che rende più facile l’agire alla grande impresa, ma questa cultura aziendale si sta diffondendo anche nei piccoli e medi imprenditori. Con una grande frammentazione degli interventi: esiste la grande realtà come Fondazione Banca degli Occhi, ma anche il piccolo artigiano che dedica delle ore di lavoro per la manutenzione della sede di una piccola associazione… E’ sempre la realtà in cui viviamo che ci interpella. A me è capitato di imbattermi in imprenditori che sostenevano progetti legati a problematiche personali o relative ai propri dipendenti. Si interviene lì dove si crea una prossimità.
Quali caratteristiche deve avere un progetto sociale o solidale per essere sostenuto?
Si parte sempre dalla serietà del progetto e dalla sua incisività. E’ il ragionamento che abbiamo fatto anche noi, Camera di Commercio, quando abbiamo scelto di sostenere Fondazione Banca degli Occhi: a noi interessa che i soldi vadano il meno possibile in costi di struttura e il più possibile in ricerca, cioè spesi per le finalità dell’ente, evitando coperture di spesa generali. Questo tra gli imprenditori è un tema molto sentito. La seconda questione è la ricaduta dei progetti: cosa è stato creato con i fondi donati? L’ambito della ricerca, ad esempio, per noi è importantissimo, è il volano della società, ma l’azienda vuole capire le correlazioni tra quello che si versa e l’investimento sul territorio. Un altro punto, anche se può sembrar strano, è la discrezione.
L’abbiamo sperimentato anche noi: tante aziende vogliono fare del bene senza far rumore. Insomma, niente pubblicità…
Questo è un aspetto molto bello: faccio del bene perché ci credo, come posizionamento rispetto alla mia cultura aziendale. Teniamo conto che il Veneto è sempre stato un modello favoloso di welfare e terzo settore. L’abbiamo visto nella reazione per la situazione del bellunese l’autunno scorso: abbiamo intessuta nel nostro DNA una storia di impegno e di generosità, che si riflette anche nelle aziende.
Sotto la sua guida, la Camera di Commercio di Venezia Rovigo Delta Lagunare ha scelto più volte di sostenere la ricerca di Fondazione Banca degli Occhi: degenerazione maculare della retina, diagnosi avanzata sulle infezioni, nuove tecniche di trapianto sono solo alcuni dei progetti sostenuti. Cosa l’ha colpita del lavoro che circonda la Fondazione?
Mi colpiscono due cose. La prima è come la Fondazione lanci sempre il cuore oltre l’ostacolo nella ricerca, attivandosi sulle nuove frontiere. Mi colpisce che si punti su progetti di reale innovazione che coinvolgono non solo la parte di ricerca ma anche la produzione pratica di nuovi dispositivi, portati avanti anche insieme alle aziende. Una realtà nata sulle spalle di un grande personaggio come il suo fondatore, il prof. Giovanni Rama, che non si è mai seduta su questo ma continua ad aver voglia di sperimentare. Dall’altra parte c’è anche l’attenzione al paziente: le fasi di sperimentazione di nuove tecniche o nuovi progetti hanno sempre una grande attenzione nei confronti del paziente. Purtroppo io ho dovuto provarlo anche nella mia esperienza familiare e questo valore, in medicina, non è affatto scontato.
Il bene della vista, che in tanti diamo per scontato, che sensazioni o riflessioni suscita in lei?
Il non poter vedere, come il non poter sentire, è qualcosa che toglie il gusto alle cose. Per fortuna abbiamo tante persone che aiutano questi pazienti a vivere in modo dignitoso, io ne ho avuto prova, in gioventù ho fatto il “donatore di voce” registrando tantissimi audiolibri per ragazzi e studenti universitari. Ricordo che mi chiedevo con quanta forza queste persone raggiungessero obiettivi importanti come la laurea. Ma l’invito che farei è tutelarci tutti sul bene della vista, perché è un dono preziosissimo, e per chi ha la sventura di doversi confrontare con la malattia per fortuna ci sono fondazioni come la Banca degli Occhi e misure di sostegno per vivere la propria condizione con grande dignità e aiuto concreto.
Un certo sguardo, settembre 2019