DAVIDE, TRAPIANTATO DI CORNEA: VOLEVO FAR GIRARE QUEL DONO. OGGI PER QUESTO SONO UN INFERMIERE
“Mi sono presentato a 15 anni all’ospedale perché volevo fare il carabiniere, ma al controllo mi sono accorto di non vedere niente. Ripensandoci era vero, avevo delle difficoltà. Allora ho fatto la visita per la prescrizione degli occhiali e lì c’è stata la botta, mi dissero: ma lei non sa di avere il cheratocono?”. Un’affermazione pesante come un macigno, che precedeva la sentenza: non poteva esserci nessun lavoro di precisione nel futuro di Davide, non il grafico come aveva ipotizzato, né tantomeno il sogno nel cassetto di entrare nell’Arma dei Carabinieri.
Era il febbraio 1996, Davide Rubino era poco più che un ragazzino quando ha affrontato la diagnosi prima e il trapianto poi, a soli 16 anni, un’età in cui non è facile affrontare nemmeno il fatto che ci vedi perché qualcun altro non c’è più. . “Con gli occhiali vedevo 10 decimi, e due anni dopo ho fatto anche il secondo trapianto all’occhio sinistro”.
E anche se qualcosa poi va storto e le cure devono continuare per anni, dopo aver passato visite e terapie di ospedale in ospedale, la differenza è chiara: “Dopo il trapianto la vita cambia – racconta Davide – perché puoi ricominciare a progettare il tuo futuro, io potevo ricominciare a lavorare. Prima ero sempre dipendente da qualcuno, hai bisogno di un’altra persona che ti dia una mano se devi trovare qualcosa, leggere un’etichetta, muoverti nella tua città, hai una ragazza e non puoi andare a prenderla a casa... Oggi – continua Davide – sono arrivato per il controllo da Milano a Mestre guidando la macchina. Una libertà che non avevo e che per me è una conquista”.
Certo ricevere un trapianto non è una passeggiata. “Quello che vorrei far capire a tante persone, e anche a tanti pazienti come me, è che ricevere un trapianto di cornea non significa tornare subito a vedere bene come prima”. Non è una magia, spiega Davide, è una strada lunga e a volte anche molto in salita. “Io ho avuto grosse difficoltà dopo il trapianto all’occhio destro – continua Davide – ma grazie a quella cornea dal ’96 al 2014 ho potuto lavorare per 10 anni. Quella cornea mi ha fatto diventare un infermiere, grazie a quel dono oggi posso dire “ce l’ho fatta!”.
Infermiere? Il sogno di Davide all’inizio non era quello, eppure la scelta è venuta naturale: “Quando ho fatto il primo trapianto, vedendo tutti quegli infermieri in sala operatoria accanto a me, ecco lì ho deciso, lo sarei diventato anch’io perché gli infermieri aiutano la gente. Io ho avuto due cornee in regalo e mi impegnerò per tutta la vita per “far girare” quel dono, scegliere questa professione è stato un modo per farlo fruttare di più. L’ho fatto per senso civico, perché lo sentivo, perché ogni giorno posso dare qualcosa agli altri. Oggi sono infermiere nel reparto di Malattie infettive di un ospedale, proprio lì dove ci sono le persone che vengono allontanate da tutti. Lavorare in ospedale mi ha messo a confronto con la cura, lì puoi trovarti a dare un farmaco costoso ad un ergastolano come ad una brava persona, lì impari ad aiutare semplicemente perché serve”.
Un po’ come il trapianto. Perché donare è sapere che cambierai la vita di qualcuno, anche se non sai di chi. “A volte c’è il rischio di dare per scontato il dono che si riceve, anche nel trapianto. Invece noi sappiamo che quella cornea è stata donata nel momento peggiore, con la perdita di qualcuno di caro. Io lo so, e so che l’unico modo per dire grazie è vivere al meglio la mia vita”.