DALLA CORNEA ARTIFICIALE ALLA CIBERNETICA OCULARE: A COSA PUNTA LA RICERCA
Il prof. Massimo Busin
L'INTERVISTA: PRESENTE E FUTURO DEL TRAPIANTO DI CORNEA SECONDO IL CHIRURGO OFTALMOLOGO MASSIMO BUSIN
Ha sviluppato tecniche chirurgiche oggi adottate in tutto il mondo, con i suoi oltre cento studi pubblicati e i numerosi progetti di ricerca attivi, molti dei quali in collaborazione con Fondazione Banca degli Occhi, il professor Massimo Busin è una delle voci internazionali più autorevoli a cui rivolgere una semplice domanda: cosa ci riserverà in futuro la ricerca sulla cornea? Lo interpelliamo nella sua sala operatoria di Villa Igea, presso l’unità di fisiopatologia corneale che dirige per gli Ospedali Privati Forlì.
Professor Busin, innanzitutto qual è stato negli ultimi anni l’impatto della ricerca sul trapianto di cornea?
L’area del trapianto di cornea negli ultimi vent’anni è cambiata radicalmente, nel “secolo scorso” il trapianto era uno e sempre quello, si rimuoveva a tutto spessore la cornea del paziente sostituendola con una cornea da donatore, indipendentemente che fosse malato l’endotelio (la parte posteriore) o lo stroma (quella anteriore). Oggi facciamo interventi selettivi che curano diversamente malattie endoteliali o stromali trapiantando solo la parte della cornea necessaria. Nel nostro caso, su 500 trapianti all'anno i casi in cui vengono attuate cheratoplastiche perforanti (con la sostituzione dell'intera cornea, ndr) sono ormai meno del 5 per cento.
Dove guarda oggi la ricerca? Quali evoluzioni ulteriori vede nel futuro del trapianto di cornea?
Esiste tutta una serie di pazienti a cui oggi non sappiamo dare una risposta, persone con patologie legate a deficit congiuntivali oppure che hanno già subito più rigetti, per cui sappiamo che il trapianto sarebbe destinato al fallimento. Per loro resta solo l’opzione della cheratoprotesi (una sorta di “cornea artificiale”) che al momento presenta però complicazioni molto elevate ed è il prodotto di una chirurgia molto invasiva, con risultati nel lungo periodo ancora scarsi. Noi stiamo pensando di sviluppare in futuro una cheratoprotesi che sia in grado di evitare complicanze e con risultati buoni a lungo termine.
Può anticipare qualcosa di questo progetto?
Pensiamo di poter utilizzare dei supporti per trasmettere l’immagine dall’esterno all’interno dell’occhio attraverso un sistema di proiezione che verrebbe impiantato nel paziente, questo per bypassare l’ostacolo costituito dall’opacità corneale. Una soluzione per quelle patologie in cui il normale trapianto di cornea è destinato a fallire. Certo questo è l’indirizzo di ricerca, un’ipotesi su cui siamo al lavoro e che necessità di tempi ancora molto lunghi…
La tecnologia avrà sempre più un ruolo fondamentale in oculistica?
Il nostro ambito medico in realtà è sempre stato abituato a confrontarsi con settori tecnologici a partire dall’ottica, però per entrare in questa nuova fase di cibernetica oculare bisogna interfacciarsi con sviluppatori e partner con conoscenze ingegneristiche. E poi la banca degli occhi è fondamentale: abbiamo il supporto di Fondazione Banca degli Occhi del Veneto sia sul piano della ricerca che su quello tissutale.
Si sente spesso parlare della “cornea artificiale”: quali sono oggi le sue reali potenzialità?
L’idea di “cornea artificiale” evoca subito l’immagine di una “cornea di plastica” che sostituisca quella malata, ma qui bisogna intendersi. Il problema di sostituire un tessuto con materiali di metallo o plastici è sempre l’integrazione con il resto dell’organismo, bisogna trovare forme ibride che consentano a questi impianti di funzionare. Se infatti l’innesto di un cristallino artificiale funziona perché si trova in posizione piuttosto isolata nell’occhio, per la cornea che è un tessuto molto più integrato non è così. Anche noi stiamo studiando un modo per sigillare e permettere alla cheratoprotesi di funzionare al meglio. Al momento l’inserimento di una cheratoprotesi nel 50 per cento dei casi fallisce.