DALLA RICERCA SUI TESSUTI UN NUOVO STRUMENTO PER IL TRAPIANTO DI CELLULE DELL'ENDOTELIO CORNEALE
GABRIELA E IL SUO STUDIO TRA CHIRURGHI OFTALMOLOGI E INGEGNERI BIOMEDICI: "CAMBIARE PROSPETTIVA MI HA AIUTATO A TROVARE NUOVE SOLUZIONI PER IL TRAPIANTO"
Trapiantare un solo strato della cornea per guarire quello malato, era già possibile. Oggi, a fare la differenza, è il “come”: ad esempio attraverso i cosiddetti “tessuti precaricati”, cioè porzioni di cornea inseriti in piccoli dispositivi che permettono di far arrivare in sala operatoria sottilissimi lembi già pronti, isolati, controllati e posizionati per l’innesto nell’occhio del paziente. Proprio uno di questi è stato, negli ultimi due anni e mezzo, il progetto principale di Gabriela Wójcik, ricercatrice di Fondazione, che grazie alla sinergia con l’Università inglese di Liverpool e il supporto di un’azienda del settore biomedicale, ha validato un nuovo dispositivo per facilitare i trapianti di cellule dell’endotelio corneale.
La “DmekDMEK” (Descemet Membrane Endothelial Keratoplasty) è attualmente la tipologia di intervento più specifica oggi a disposizione dei chirurghi oftalmologi per combattere patologie come la distrofia di Fuchs e altre distrofie endoteliali, la cheratopatia bollosa e in generale gli scompensi dell’endotelio corneale. “Effettuare questo tipo di trapianto con un tessuto già precaricato ha molti vantaggi. Rende l’intervento più veloce e meno invasivo per il paziente, e più efficiente per il chirurgo” spiega Gabriela Wójcik che ha validato uno strumento per "DMEK ENDO-OUT”, un mini-contenitore in cui il sottilissimo strato di cellule corneali viene inserito rivolto verso l’esterno, per un rapidissimo innesto nell’occhio.
Una laurea e un master in Biologia all’Università di Cracovia, in seguito ricercatrice all’Institute of Translational & Stratified Medicine di Plymouth in Inghilterra, Gabriela Wójcik è approdata in Fondazione Banca degli Occhi nel dicembre 2018, inserendosi nel filone di ricerca sui “tessuti precaricati” già avviato in Fondazione. “Per lavorare a questo progetto ho dovuto interfacciarmi con moltissime figure diverse – racconta Gabriela – prima con i nostri colleghi dell’Ufficio Medicina delle Donazioni e del Laboratorio di Eye Banking per lo studio dei tessuti, poi con i Chirurghi oftalmologi per comprendere le loro necessità, infine con gli ingegneri biomedici che ci hanno aiutato a realizzare il progetto. Un lavoro che mi ha costretto a cambiare più volte prospettiva, uno sforzo che nessuno ti insegna all’università e che è stato davvero stimolante per me”. Proprio qui, secondo Gabriela, sta anche il futuro della ricerca sulla cornea: “Le potenzialità di interventi come questo sono grandissime. Nelle banche saremo capaci, un giorno, di sperimentare diverse modalità di coltivazione delle cellule della cornea – conclude la ricercatrice - io penso che questo sarà il futuro del trapianto di cornea”.